Gestione di una epidemia di panleucopenia in un rifugio
05/09/2014 rivisto il 05/04/2019
Questa vicenda, peraltro comunissima in gattili, rifugi, tra persone che offrono stallo a cucciolate è successa alcuni anni fa: sono state fatte alcune cose giuste e sono stati commessi errori: la raccontiamo perché possa servire ad altri per evitare alcune delle leggerezze commesse.
Il contesto ambientale e il paziente 0
La struttura di accoglienza è una una vecchia cascina in corso di ristrutturazione in cui venivano accolti i gattini cercando sì di applicare dei protocolli di quarantena e di prevenzione, ma con i limiti della situazione e qualche imprudenza risultata fatale.
Nel corso dell'estate sono stati passati per la struttura circa quaranta gattini. Ogni cucciolata veniva tenuta in quarantena per 15 gg. in gabbioni pieghevoli di circa 1 mq; poi, passato il periodo di osservazione, i gatti venivano spostati in un'altra stanza, al piano superiore, dove stavano tutti insieme.
Le stanze delle quarantene ospitavano diversi gabbioni. I volontari calzavano i guanti per pulire le gabbie e non ci sono stati scambi di lettiere o ciotole; i pavimenti venivano disinfettati quotidianamente con Virkon-S(1) . Prima si facevano le pulizie e si dava il cibo ai gattini sani e poi a quelli in quarantena per evitare passaggi dalla zona potenzialmente contaminata a quella "pulita". Non c'erano però sovrascarpe e camici.
Tutto bene (3 decessi in tutto di cui uno per FIP umida) fino a quando non è arrivata una coppia di selvatichini di 4-5 mesi che era passata prima per un ambulatorio veterinario (5 gg di permanenza) per sverminazione e vaccinazione. Nulla da segnalare per i primi 4 gg: sempre nascosti nel trasportino mangiavano normalmente e le feci erano formate. Poi è stato notato che non avevano toccato cibo per un giorno intero e un episodio di vomito.
Il giorno seguente sono stati portati in clinica entrambi e uno è risultato ipotermico e l'altro con febbre. L'emocromo di quello ipotermico indicava 4500 WBC(2)). Trattati entrambi come sospetti panleuco, durante la notte c'è stata la prima scarica di diarrea (mai riscontrata prima al rifugio) e il giorno seguente il test parvo Idexx(3) su quello in condizioni migliori risultava positivo. Nell'arco di 48 ore quello risultato ipotermico è morto (il paziente "0") mentre l'altro ha cominciato a dare segni di miglioramento.
Strategia di contrasto
Ci si è subito resi conto di trovarsi di fronte ad una epidemia e si è messa in atto una strategia cosi' articolata:
- Disinfezione: uso giornaliero dell'ipoclorito di sodio(4) al 5.25% (non in presenza di gatti) nell'area di quarantena e giornalmente con Virkon-S in tutti gli altri ambienti (le lettiere venivano disinfettatte almeno 2 volte al giorno); rimozione delle suppellettili non lavabili (grattatoi, giochini, copertine, ecc). Uso tassativo di sovrascarpe e guanti; uso della carta al posto della sabbia nelle lettiere e ciotole monouso. Queste misure non servivano ad evitare i contagi ormai avvenuti ma avevano il solo scopo di limitare e contenere la carica virale visto che non era possibile spostare tutti i gatti presenti in posti "puliti".
- Volontari "selezionati": i volontari che operano nei rifugi non sono sempre attentissimi alle misure igieniche e la turnazione rendeva di fatto impossibile valutare la progressione dei segni clinici. Quindi si è optato per la sospensione della normale turnazione dei volontari: solo due persone seguivano quotidianamente i gatti con l'obiettivo di individuare il minimo sintomo (minor interesse al cibo, diarrea, vomito, apatia). Questa misura è stata fondamentale per la diagnosi precoce.
- Controlli clinici frequenti: i gatti che manifestavano il minimo sintomo - diciamo pure minimo in senso "paranoico" - venivano portati immediatamente in clinica per un emocromo. Se il livello di globuli bianchi si avvicinava alla soglia inferiore e/o in caso di iper/ipotermia i gatti venivano ricoverati e rifatti gli esami ematici giornalmente iniziando la terapia con interferone omega felino(5)), fluidoterapia, antibiotici, ecc. come da protocolli standard di trattamento per la panleucopenia. Venivano anche effettuati test parvo Idexx sulle feci di conferma.
- Separazione: i gattini asintomatici venivano separati da quelli che avevano superato la malattia: da ricordare che i gatti che sopravvivono alla panleucopenia restano escrettori del virus (e quindi fonte di contagio per gli altri) per circa un mese
Trattamento
Un gatto con panleucopenia non può essere gestito in rifugio (o in casa). I gattini infetti da panleucopenia non hanno generalmente una prognosi favorevole(6) ma un trattamento medico corretto è essenziale. I gattini con diagnosi conclamata o semplicemente sospetti (in una epidemia di panleucopenia il "sospetto" significa solo che non hanno ancora sviluppato i segni clinici dell'infezione) venivano ricoverati, messi in fluidi con copertura antibiotica e gastroprotettori. Periodicamente venivano monitorati i parametri ematici ed in particolare i leucociti, l'ematocrito, la pressione arteriosa e proteine totali attuando le contromisure del caso: in alcuni casi è stata necessaria la trasfusione.
I gattini venivano di norma dimessi solo quando i parametri ematici tendevano alla norma, riprendevano vivacità e si alimentavano stabilmente da soli.
Errori commessi
- Anche se il vaccino impiega non meno di 5-10 gg per fornire una protezione efficace, e quindi non è la "panacea" per gatti che vengono immessi in un ambiente a rischio subito dopo la somministrazione, è stato sicuramente un errore non aver vaccinato tutti i gatti vaccinabili (di età superiore alle 6 settimane).
- Aver usato sabbia nelle lettiere che è un veicolo di contagio pericolosissimo. La sabbietta è più adatta su un piano etologico e come capacità di assorbimento dell'urina ma è più facile spanderla per il locale e portarla in giro, meglio la carta come peraltro è prassi in molte cliniche. Granelli di sabbietta sotto le scarpe sono stati probabilmente il veicolo di contagio
- Non aver avuto a disposizione e usato fin dall'inizio camici e sovrascarpe: l'uso di guanti, camici e sovrascarpe quando si maneggiano i gatti e si pulisce sono fondamentali. Ovviamente vanno cambiati di stanza in stanza e di gabbia in gabbia; mettersi un camice e poi fare tutte le gabbie serve solo ad evitare di portarsi a casa il virus (che non è poco per chi ha altri gatti) ma chiaramente non previene il passaggio del virus da gabbia a gabbia o da stanza a stanza.
- Sentirsi "rilassati" perché non era successo mai niente e i gatti erano già grandini: mai abbassare la guardia.
Decisioni giuste nell'emergenza
- Riduzione al minimo del numero dei volontari che seguivano giornalmente (o più volte al giorno) l'evoluzione dell'epidemia. Troppi volontari, anche con una comunicazione ottimale, non avrebbe permesso di individuare i sintomi in modo precoce.
- Verifiche "paranoiche" e tempestive dei parametri ematici dei gattini (con un banale contaglobuli che dà risultati immediati) e conseguente ospedalizzazione. I test parvo sono risultati utili ma, almeno in base a questa esperienza, risultavano positivi solo 2-3 gg dopo la comparsa della leucopenia.
- Gestione "seria", in una struttura ospedaliera, dei casi: la panleucopenia o si tratta come si deve o tanto vale non fare niente e sperare in un recupero spontaneo. Soluzioni "al risparmio" (fluidi sottocute, ricoveri in strutture approssimative), comportano comunque un costo e, in questi casi, servono davvero a poco.
- L'uso dell'interferone omega felino ha dato apparentemente buoni risultati ma questo non significa che sia stato davvero efficace. È importante imparare a distinguere tra un dato aneddotico e uno studio controllato, soprattutto quando si tratta di farmaci/trattamenti costosi ed impegnativi. Un conto è il proprietario che è disposto a spendere per il proprio gatto anche rischiando un trattamento inefficace, un altro è un rifugio dove l'allocazione delle scarse risorse economiche deve seguire criteri di efficacia (EBM - Evidence Based Medicine): a posteriori si può affermare che è stato giusto investire nei ricoveri, molto meno sull'interferone.
Le epidemie di panleucopenia nei rifugi sono difficilmente evitabili: condizioni strutturali non ottimali, ristrettezze economiche, volontari che non hanno dimestichezza/mentalità nel gestire isolamenti e disinfezione sono altrettanti fattori che favoriscono l'insorgere delle epidemie. Pensare di eliminare tutti i fattori di rischio è illusorio, ma contenerli è possibile: è innanzitutto una questione di mentalità e di consapevolezza del rischio oltre che di rifiutare un atteggiamento fatalistico per cui "tanto non c'è niente da fare".