Gruppi sanguigni nel gatto, trasfusione, isoeritrolisi neonatale

02/12/2019

Nel gatto sono stati identificati tre diversi gruppi sanguigni: quello più largamente diffuso è il gruppo A, nettamente minoritario il B, raro il gruppo AB. Questa distinzione è importante specie per quanto riguarda le trasfusioni. In questo articolo parleremo poi dell’isoeritrolisi neonatale, una rara e gravissima patologia che interessa i cuccioli che discendono da madre di gruppo B e padre di gruppo A o AB; in ultimo un richiamo alle leggi dell’ereditarietà mendeliana.

Gruppo sanguigno

Il gatto presenta un solo sistema di gruppo sanguigno : il sistema AB nel quale si distinguono 3 tipi: A, B e AB (in alcune pubblicazioni indicato come C). Il gruppo sanguigno è determinato dalla presenza di particolari antigeni sulla superficie degli eritrociti; acido N-glicolil-neuraminico nel gruppo A, acido N-acetil-neuraminico nel gruppo B ed entrambi nel gruppo AB.
Il gruppo sanguigno è una delle caratteristiche fenotipiche di un individuo che sono trasmesse per via ereditaria come semplice tratto autosomico mendeliano. Nella determinazione del gruppo sanguigno del gatto sono coinvolti tre alleli: A, b, aab (in alcune pubblicazioni indicato come ac) nella seguente relazione di dominanza:

A → aab → b

In conseguenza avremo che:

Le reazioni trasfusionali, che possono essere letali, non sono dovute alle “differenze” degli eritrociti del donatore/ricevente ma alla presenza di alloanticorpi nei confronti del gruppo diverso.

...anticorpi, autoanticorpi e alloanticorpi

Gli anticorpi sono diretti contro antigeni non-self (patogeni); gli autoanticorpi sono anticorpi diretti contro antigeni self (cioè del soggetto stesso) mentre gli alloanticorpi sono anticorpi diretti contro un antigene che appartiene alla stessa specie ma che non viene espresso in quel soggetto.
Gli alloanticorpi possono essere naturali o indotti: quelli naturali si formano nelle prime settimane di vita per reattività crociata con antigeni batterici mentre quelli indotti si formano in seguito all’esposizione con l’antigene, ad esempio dopo una prima trasfusione con un gruppo non compatibile.

In particolare, i gatti sviluppano alloanticorpi naturali nelle prime settimane di vita e quindi, al contrario di quanto a volte viene sostenuto, possono esserci reazioni anche alla prima trasfusione.
I gatti di gruppo A generalmente esprimono bassi livelli di anticorpi (1) anti-B mentre i gatti di gruppo B esprimono alti livelli di anticorpi anti-A con attività emolizzante ed emoagglutinante : quindi un gatto di gruppo B non può assolutamente essere trasfuso con sangue di gruppo A.
I gatti di gruppo AB non possiedono alloanticorpi.

Si riscontra una più alta prevalenza del gruppo B in gatti di alcune razze (birmani, british shorhair, devon, angora turco, ecc.) ma diversi studi indicano una prevalenza significativa di questo gruppo (stimata nell’ordine del 10-15%) anche in gatti europei comuni: quindi i test di compatibilità di gruppo devono sempre essere fatti anche sui gatti europei comuni.

Va inoltre tenuto presente che nel 2007 è stato individuato un ulteriore antigene eritrocitario denominato Mik (2) che può spiegare casi di reazione emolitica in caso di trasfusioni tra gruppi compatibili. In un recente studio retrospettivo (3), in cui si confrontano gli esiti trasfusionali su un numero significativo di gatti, si stima una prevalenza di alloanticorpi al di fuori del sistema AB dell’ordine del 15%: un valore sufficientemente alto da spingere gli autori a raccomandare di effettuare sempre il test di cross-matching (anche quando si conosce la compatibilità del gruppo).

Trasfusione omologa, test del gruppo e cross-matching

Innanzitutto, è bene ricordare che la trasfusione è un trattamento necessario in molti casi ma quasi mai di per sé risolutivo. I casi in cui viene effettuata una trasfusione sono solitamente riconducibili ad anemia insorta per cause traumatiche (incidenti, interventi chirurgici, rotture d’organo come in caso di emangiosarcoma, ecc.) o per cause infettive e/o infiammatorie, aplasia midollare, ecc.
Solitamente si interviene con la trasfusione in presenza di emorragie acute che portano l’ematocrito sotto il 20% o quando, con un trend lento, scende al di sotto del 10-15% (le anemie croniche sono tollerate molto meglio delle anemie acute).
Il generale si può dire che la ratio della trasfusione è quella di mantenere in vita il paziente in attesa di una diagnosi o per dare il tempo alla terapia di agire: è il caso tipico delle gravi infezioni da mycoplasmi dove la trasfusione si rende necessaria nei casi gravi.

Si parla di trasfusione omologa quando donatore e ricevente appartengono alla stessa specie, riferendosi a trasfusione da gatto a gatto (sangue fresco intero) o con sacche (di sangue intero, emazie concentrate o plasma) fornite da banche del sangue ormai disponibili presso molte cliniche e utilizzabili nella grande maggioranza dei casi.

Da notare che diversi componenti del sangue, ad esempio alcuni fattori della coagulazione, decadono con la conservazione, quindi non deve stupire se, in casi particolari, il medico decide di procedere con una trasfusione di sangue fresco da gatto a gatto pure avendo la disponibilità di sacche da una banca del sangue.

Un gatto può essere usato come donatore volontario quando sussistono determinate condizioni:

Il prelievo di sangue dal donatore (50-60 ml) viene effettuato, solitamente, in sedazione e il gatto viene trattenuto per qualche ora in struttura, in fluidoterapia, per ripristinare la volemia. La donazione di sangue non è una procedura a rischio per un gatto sano.

Determinazione del gruppo

La determinazione del gruppo del ricevente (e del donatore nel caso non si utilizzino sacche da banche dati) deve sempre essere effettuata, anche alla prima trasfusione.
Come già accennato, per via della non irrilevante presenza di soggetti di gruppo A che presentano antigeni Mik che possono dare una grave reazione trasfusionale, è consigliabile effettuare il test di cross-matching (anche conoscendo il gruppo) in quanto permette di escludere questo rischio.

Il gold standard per la determinazione del gruppo è la prova di agglutinazione in provetta ma sono anche disponibili test rapidi ambulatoriali di semplice esecuzione ed interpretazione con buona sensibilità e specificità.

Test di cross-matching o di compatibilità crociata

Come sopra accennato è sempre preferibile effettuare anche il test di cross-matching per via della possibile presenza di antigeni Mik e/o in caso di trasfusioni ripetute.
Il test si effettua in due fasi: major e minor cross-match. Nella prima fase, con il major cross-match ci si accerta che non ci sia agglutinazione tra eritrociti del donatore e plasma del ricevente; nella seconda (minor cross-match) ci si accerta che non ci sia agglutinazione tra plasma del donatore ed eritrociti del ricevente. Entrambe le prove devono risultare negative.
Questo ulteriore test permette innanzitutto di evitare reazioni trasfusionali immunologiche acute ma anche per garantire le condizioni di migliore sopravvivenza delle cellule ematiche trasfuse.

In sintesi: il test del gruppo è molto semplice e veloce da effettuare ma esistono dei casi in cui non può garantire in toto la compatibilità (antigeni Mik, trasfusioni ripetute) mentre il cross-matching, più laborioso, garantisce la piena compatibilità della trasfusione ma non permette di conoscere il gruppo di donatore e ricevente.
Si deve effettuare il test di agglutinazione su cartina per conoscere il gruppo sanguigno dei gatti e, su gatti con gruppo compatibile effettuare “anche” la compatibilità crociata per escludere ulteriori rischi di reazioni trasfusionali.

Reazioni trasfusionali

Le reazioni trasfusionali possono essere di natura immunologica o non immunologica, acute o ritardate. Quando si adottano le procedure corrette in tutte le fasi del processo (raccolta del sangue, determinazione del gruppo/compatibilità crociata, infusione e monitoraggio del paziente) i rischi sono minimi sia per il donatore che per il ricevente.

La più importante e spesso letale reazione trasfusionale di natura immunologica è quella emolitica acuta: di insorgenza immediata (secondi, minuti), causa la distruzione degli eritrociti trasfusi da parte degli anticorpi del ricevente con conseguenze gravissime quali shock, CID, danno renale acuto e anche decesso. È il caso tipico di quando si infonde per errore un gatto di gruppo B con sangue di gruppo A ma sono riportati anche casi di reazioni altrettanto gravi imputabili agli antigeni Mik. Nel caso di trasfusione di sangue di gruppo B ad un soggetto di gruppo A questa reazione è molto meno intensa (il livello di alloanticorpi anti-B nei gatti di gruppo A è basso) ma comunque comporta ad una forte riduzione dell’emivita degli eritrociti trasfusi. Le reazioni emolitiche acute sono molto rare quando si determina correttamente la compatibilità del gruppo e il cross-matching. Possono esserci anche reazioni emolitiche ritardate che si manifestano con febbre, rapido declino dell’ematocrito, ittero, danno renale acuto.
Un altro tipo di reazione di natura immunologica non emolitica acuta è quella mediata da IgE e mastociti che si manifesta con orticaria, prurito, edema, ecc. e possono essere controllate con la somministrazione di steroidi, antistaminici e l’interruzione/rallentamento della velocità di infusione.
Le reazioni febbrili non emolitiche dovute a reazioni contro piastrine e leucociti del donatore sono abbastanza comuni e si risolvono spontaneamente entro le 24 ore.

Le reazioni non immunologiche, dal sovraccarico circolatorio alle infezioni batteriche, ecc. sono quasi sempre legate ad errori e/o all’impiego di protocolli inadeguati nella scelta dei donatori, nella somministrazione e nel monitoraggio del paziente.

Xenotrasfusione

La possibilità di utilizzare un donatore canino su un ricevente felino è da considerare come un “last-resort treatment”, una scelta da fare quando non ci sono alternative.
La xenotrasfusione è stata una pratica diffusa fin verso la fine dell’ottocento in ambito umano e del tutto abbandonata a valle della scoperta dei gruppi sanguigni umani ad inizio novecento.
In base a quanto riportato in uno studio (4) si può affermare che la trasfusione da cane a gatto, previo test di cross-matching, è possibile ma solo per una singola somministrazione. Infatti, risulta che il gatto non possegga anticorpi contro gli eritrociti di origine canina ma questi si sviluppano in seguito alla trasfusione. La formazione degli anticorpi anti-rbc canini comporta una reazione emolitica ritardata: in pratica gli eritrociti trasfusi vengono distrutti nell’arco di 5-7 giorni e una seconda trasfusione, effettuata dopo 4-6 giorni dalla prima (il tempo necessario a che gli anticorpi raggiungano un titolo significativo), può poi provocare una grave reazione emolitica acuta.

La xenotrasfusione rappresenta quindi una opzione concreta quando:

Isoeritrolisi neonatale felina (FNI)

Si tratta di una patologia molto rara ma con alta mortalità che interessa i cuccioli frutto dell’accoppiamento tra una gatta di gruppo B e un maschio di gruppo A o AB. Questi gattini potranno essere di gruppo A, AB o anche B (un gatto di gruppo A può avere gli alleli A/b) e la patologia interessa solo i cuccioli di gruppo A e AB.
Durante la gestazione i cuccioli non assumono, se non in misura insignificante, gli anticorpi materni (la placenta del gatto è quasi del tutto impermeabile al passaggio degli anticorpi) ma cominciano ad assumerli nei primi giorni di vita attraverso il colostro.
Gli anticorpi materni costituiscono un fondamentale fattore protettivo nei primi mesi di vita dei cuccioli quando il loro sistema immunitario è ancora immaturo. Il problema deriva dal fatto che assieme alle altre immunoglobuline i gattini assumono anche alloanticorpi anti-A della madre che andranno ad attaccare gli eritrociti del neonato. Questi cuccioli nascono sani ma i primi segni clinici appaiono già dopo poche ore o giorni dall’assunzione del colostro: presentano debolezza, riluttanza a nutrirsi, emoglobinuria (urine dal colore scuro, marrone) e morte entro la prima settimana.
I cuccioli che presentano questi sintomi devono essere immediatamente tolti alla madre (in modo che non continuino ad assumere alloanticorpi) e sottoposti ad un trattamento intensivo che può includere la trasfusione. Questo entro le prime 24 ore di vita in quanto dopo quel periodo lo sviluppo delle mucose intestinali non consente più l’assorbimento di immunoglobuline per via orale e quindi cessa il pericolo. Il trattamento di questi casi è comunque molto difficile anche sul piano logistico per cui la prevenzione, cioè evitare accoppiamenti pericolosi, è di fondamentale importanza.

Il problema riguarda solo le femmine B accoppiate con gli A e non il viceversa perché sono i gatti di gruppo B a presentare un livello elevato di alloanticorpi anti-A.

Richiami ai principi dell’ereditarietà mendeliana

Gregor Mendel era un monaco boemo che, verso la metà dell’ottocento, condusse una serie di esperimenti sulle piante di pisello che lo portarono a formulare le fondamentali leggi della dominanza e della segregazione che contraddicevano la credenza allora in voga della “mescolanza”, cioè che fattori ereditari presenti nel seme e nella cellula uovo si fondessero in modo inscindibile con la fecondazione. A tutt’oggi, sebbene il concetto di ereditarietà sia stato ulteriormente ampliato (ereditarietà non mendeliana), le leggi di Mendel restano un caposaldo della genetica moderna.

I caratteri ereditari (colore degli occhi, gruppo sanguigno nello specifico di questo articolo, ecc.) sono determinati dai geni, cioè frammenti di DNA che costituiscono una unità di informazione.

...geni, cromosomi, alleli, omo/eterozigoti

Il DNA presente nel nucleo di ogni cellula ed è organizzato in coppie di cromosomi di origine materna e paterna (23 coppie nell’uomo, 19 nel gatto), identiche tra loro ad eccezione dei cromosomi sessuali (XX nella femmina, XY nel maschio). Ogni cromosoma contiene migliaia di geni che rappresentano le unità elementari di informazione. Ogni gene contiene i dati che vengono trascritti in mRNA (RNA messaggero) che a loro volta rappresentano le “istruzioni” utilizzate nei ribosomi per assemblare le proteine a partire dai 20 aminoacidi di base. Un gene è identificato da particolari sequenze di nucleotidi che determinano l’inizio e la fine della trascrizione.
I geni, che occupano una posizione ben precisa su un cromosoma (locus), sono presenti sia sul cromosoma di derivazione materna che su quello paterno e sono detti “alleli”: quando i due alleli sono identici di parla di organismo omozigote, quando i due alleli sono diversi si parla di organismo eterozigote.
Per genotipo si intende il corredo genetico di un organismo mentre per fenotipo si intende l’aspetto di quell’organismo, il carattere esteriore che quel genotipo è in grado di esprimere: ad esempio il colore degli occhi, i semi gialli o verdi dei piselli di Mendel, ecc.

Quando gli alleli sono identici (omozigoti) questi esprimeranno un determinato carattere, quando sono diversi vi sarà un gene responsabile del fenotipo risultante detto dominante e un gene che non viene espresso detto recessivo.

Ai tempi di Mendel non si sapeva ancora nulla né dei geni, né della meiosi ma attraverso un rigoroso approccio scientifico fatto di esperimenti in condizioni controllate e col supporto di nozioni di matematica e statistica, arrivò alla formulazione delle sue tre leggi dell’ereditarietà che vennero divulgate nel 1865 con scarso successo ma vennero riprese ed ulteriormente sviluppate dall’inizio del novecento.

Per i suoi esperimenti (5), Mendel utilizzò delle piante di pisello nelle quali individuò dei caratteri distintivi: il colore del fiore, dei semi, la forma del baccello, ecc. A quel punto, per ognuno dei caratteri selezionò delle linee pure, cioè delle piante che dopo ripetuti cicli di autofecondazione (queste piante dispongono degli organi riproduttivi maschili e femminili) davano sempre piantine con le stesse caratteristiche. A quel punto, assicurandosi che non avvenisse l’autofecondazione, passò ad incrociare le piante con caratteri antagonisti, ad esempio quelle con i semi verdi con quelle con i semi gialli. Questa generazione parentale (P) dava origine ad una prima generazione figliale (F1), ibrida, dove tutte le piante esprimevano invariabilmente uno solo dei caratteri della generazione parentale. La F1 derivata da piante a seme giallo e a seme verde erano tutte a seme giallo:

Prima legge di Mendel o della dominanza: nell’incrocio fra due linee pure i figli manifestano sempre un solo carattere detto dominante.

Dei due caratteri presenti nella generazione parentale se ne manifesta sempre e solo uno: oggi diciamo che si tratta dell’espressione dell’allele dominante G (indicato in maiuscolo), mentre quello non espresso viene detto recessivo g (indicato in minuscolo).

Il secondo esperimento consistette nel fare autoimpollinare le piantine della generazione F1 (quella dai semi gialli) e qui si è visto che nella generazione F2 riappariva il carattere scomparso in proporzione di 1 a 3. Quindi i caratteri non si “mescolavano” ma erano espressi da fattori discreti (alleli) presenti in coppia.

Seconda legge di Mendel o della segregazione: ciascun carattere è determinato da un fattore (gene) di cui esistono due forme alternative (alleli) che si separano nella formazione dei gameti.

Il carattere espresso (il fenotipo) dipende dalla combinazione degli alleli (dominante e recessivo): un soggetto in cui i due alleli che determinano un carattere sono identici, siano essi dominanti o recessivi, sono detti omozigoti mentre quando i due alleli sono diversi abbiamo un individuo eterozigote ed il carattere espresso verrà determinato dall’allele dominante. Se assumiamo l’allele dominante G che determina i semi gialli e l’allele recessivo g che determina i semi verdi, avremo, secondo la tabella di Punnet, le seguenti possibili combinazioni:

…ed ecco spiegato perché nella generazione F2 dei piselli di Mendel ricompare il carattere recessivo ma solo in proporzione di 1:3; abbiamo cioè un omozigote dominante (GG giallo), un omozigote recessivo (gg verde) e due eterozigoti (Gg) in cui prevale l’allele dominante e quindi i semi saranno gialli. Il carattere recessivo, termine che non deve essere letto in un’accezione negativa, viene dunque espresso solo dalla combinazione di due alleli recessivi.

Mendel condusse poi un ulteriore esperimento in cui incrociò piante che esprimevano due diversi caratteri (colore e forma del seme) per verificare se segregassero in modo indipendente o meno: in particolare incrociò una pianta omozigote con i due caratteri dominanti (GGLL) con una omozigote recessiva (ggll). Nella generazione F2 si ottengono dei fenotipi non presenti nelle generazioni parentali che portarono Mendel a formulare la sua terza legge in cui si sosteneva che i fattori (geni) assortiscono indipendentemente l’uno dall’altro e spiegava la variabilità all’interno della specie. In seguito, è stato dimostrato che questa legge non si applica sempre (in particolare se i geni responsabili di un dato carattere sono presenti sullo stesso cromosoma). Inoltre, si è poi visto che la relazione tra geni e caratteri fenotipici è più complessa in quanto un gene può esprimere più fenotipi e un singolo carattere può essere controllato da più geni.

Fonti:

Roberta Di Maggio, DVM; referente dell’Unità Op. Medicina Interna; OVUD, Padova

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